Recensioni libri di montagna

La divina montagna.

Spiro Dalla Porta Xidias

La divina montagna.


In questa sua ultima opera l’autore sceglie la forma del romanzo-apologo sviluppato come storia, allegoria e parabola nel quale c’è tutto l’universo che lo ha ispirato: la montagna. Non poteva mancare quindi il Campanile di Val Montanaia, simbolo di ogni trascendenza che lo affrancherà da ogni contaminazione rendendolo completamente libero. La storia ha un prologo nelle ultime ore di Paulus che compie l’atto finale della sua vita salendo il Campanile, sfidando un destino ammantato di nobili fini, reinventandoli e rivivendoli ormai stremato. Per consentire una migliore percezione l’autore inserisce la presenza eterea di una fanciulla, fugace come certe figure vincolanti di Hermann Hesse, in realtà un drammatico e teatrale incontro con la morte. Quando giunge la fine è lei che lo accoglie tra le braccia quando ormai è completa l’immedesimazione del tutto coerente dello scalatore con la montagna che non è quella dei sogni, ma della vita. Dopo questo esordio, la storia riprende con le vicende di Alois (alter ego dell’autore) un idealista malato di utopia che fugge il mondo accelerato della modernità per trasformare ed elevare la sua esistenza in opera d’arte. Valori e scopi lo sospingono. La volontà romantica lo stacca da quel mondo che resta imperscrutabile e lontano in una visione radicale che a contatto con il monte alimenta lo spirito di sublimi tensioni e aspirazioni. Si realizzerà perfettamente portando a compimento un percorso spirituale ed esistenziale e riproponendo anche tutti i temi dell’alpinismo eroico. L’ispirazione profonda dell’assunto trova un alto riferimento nella Filosofia della vita di Schopenhauer che teorizzava tre momenti: la catarsi estetica, quella etica e infine quella ascetica. Il romanzo si fa allegoria quando cambiando completamente registro, Alois, per raggiungere una vetta dalla bellezza sublime, attraversa una inestricabile giungla che rammenta la “selva oscura” della Comedia richiamata anche dal titolo del volume. Con l’ingenuità di un avventuriero risoluto, il protagonista si inoltra coraggiosamente sfuggendo la morte. Sono pagine molto ben scritte, incalzanti e avvincenti, dall’esotismo trionfante nelle descrizioni che sembrano un poco estranee al volume se non fossero l’impianto teorico e quindi allegorico di una vita che ha conosciuto prove di ogni tipo. C’è in queste pagine una continua tensione, la prosa ha la scorrevolezza dei migliori brani salgariani e una densità che ricorda il grande Conrad, il tutto in un fraseggiare linguistico e sintattico, uno stile di cui Dalla Porta è caposcuola indiscusso. L’ansia interiore ha come contraltare un’emergenza minacciosa che deprime la suggestione romantica liberata soltanto all’apparire della guglia nella nebbia. La visione irreale avvia l’ultima parte, quella della salita che è ascesi e quindi ricerca di sé e superamento della prosaica materialità del vivere. Come l’Alighieri, l’arrampicatore è guidato e sorretto da un Virgilio di ideale bellezza e saggezza. È la parte più impegnativa del romanzo, perché la scalata è raccontata in termini tecnici coinvolgenti, tra suspense e riflessione, ma anche in tappe etiche che si concludono con il superamento dei limiti psicologici e caratteriali con l’eclissi di traviamenti e debolezze con i quali generalmente si convive. In cima si raggiunge l’estasi: «Volare – scrive l’autore – quasi verso l’acme della propria esistenza, unito al proprio ideale», elevazione spirituale che aspira al cielo che si può esprimere solo poeticamente e che è il riconoscimento e la congiunzione con l’Infinito e il Divino. Il volume gode di una prefazione di Luciano Santin e di una postfazione dell’autore. (recensione a cura di Dante Colli). La divina montagna, di Spiro Dalla Porta Xidias, i Licheni-Vivalda, 2013, 136 pagine, €. 17,00.
 
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