Recensioni libri di montagna

E disse

Erri De Luca

E disse


Erri De Luca: ormai molto noto come prolifico e versatile scrittore, ha alle spalle una storia personale complicata e dura, fatta di un giovanile impegno politico nella sinistra extraparlamentare, di una difficile esperienza in Africa, dove rischiò di lasciarci le penne per una grave malattia tropicale, di un tardivo avvicinamento ad una pratica alpinistica vissuta soprattutto da solitario. Autore di molti racconti e romanzi brevi, che sovente trovano fondamento e sostanza in più o meno velati riferimenti autobiografici, è però soprattutto un frequentatore assiduo ed attento del Vecchio e del Nuovo Testamento, che egli stesso ha in larga parte tradotto dall’ebraico (si vedano i diversi saggi pubblicati per Feltrinelli nella collana I Classici). Si professa non credente, ma la storia sacra è entrata a far parte del suo vissuto profondo, e la lettura del testo biblico è diventata per lui molto di più che un’abitudine quotidiana. Dice di se stesso e del suo rapporto con la Scrittura: «Posso dire di essere un molestatore di quelle parole, di non lasciarle in pace, di tornare indietro da loro con un pugno di cenere calda. Chiunque abbia fede trova invece in quelle pagine la materia di cui è fatto il roveto ardente di Mosè, che arde senza residui di combustione, senza consumarsi.» E inoltre: «Inauguro i miei risvegli con un pugno di versi, così che il giro del giorno piglia un filo d’inizio. Posso poi pure sbandare per il resto delle ore dietro alle minuzie del da farsi. Intanto ho trattenuto per me una caparra di parole dure, un nocciolo d’oliva da rigirare in bocca». Infine: «Finché ogni giorno posso stare anche su un solo rigo di quelle scritture, riesco a non mollare la sorpresa di essere vivo » (traggo queste citazioni da Nocciolo d’oliva, Messaggero di Sant’Antonio editrice). Di Erri De Luca ho già letto diversi libri, e altri mi attendono in uno dei tanti scaffali della mia libreria. La sua prosa non è mai banale; per lui le parole pesano, e ha cura di scegliere sempre quelle più adatte a dare il senso voluto, badando soprattutto al significato letterale e profondo di ogni termine, così come d’altronde fa col testo biblico che egli stesso traduce. Alcuni di questi libri hanno un taglio particolare: trattano argomenti ripresi dalla Bibbia, riproponendone il racconto secondo la visione personale di De Luca. Ne cito solo alcuni: Una nuvola come tappeto (1991) e In nome della madre (2006), entrambi per Feltrinelli, nonché il già citato Nocciolo d’oliva (2002). Qui desidero invece proporre un libretto che mi ha tenuto compagnia, emozionandomi e anche commuovendomi, durante una breve vacanza della scorsa estate. In circa novanta pagine, brevi ma estremamente dense, De Luca racconta di Mosè, del suo ritorno al campo degli Ebrei nel deserto, stremato e quasi in punto di morte dopo i quaranta giorni trascorsi sul monte Sinai. E a De Luca piace presentarcelo come uno scalatore: «Scalava leggero, il corpo rispondeva teso e schietto all’invito degli appigli… il vento gli arruffava i capelli e sgomberava i pensieri. Con l’ultimo passo di salita toccava l’estremità dove la terra smette e inizia il cielo. Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso. Lì arrivava alla massima distanza dal punto di partenza… Lì sperimentava la vertigine, che in lui non era il risucchio del vuoto verso il basso, ma affacciarsi sul vuoto dell’insù. Lì sulla cima percepiva la divinità che si accostava. Lassù si avvolgeva di vento». Aiutato e sospinto dal fratello, un po’ alla volta Mosè riprese le forze; uscì dalla tenda, raggiunse nuovamente le prime balze del monte e si arrestò in faccia alla parete di roccia. Iniziò a leggere a voce alta le parole che intanto andavano scolpendosi sulla pietra, come incise da un dito ardente. Il popolo, adunatosi davanti al monte, se ne stava attonito e fissava la roccia, senza riuscire a distinguere la voce che udiva dalle parole fiammeggianti che contemporaneamente vedeva imprimersi sopra di essa: “Io sono Adonài (Iod) tuo Elohìm…”. Per dieci volte la scrittura divina andò a capo. Fin quando “il monte scaricò in cielo gli ultimi rintocchi della scrittura ardente” e Mosè pronunciò l’ultima sillaba. Così Erri De Luca ci propone il racconto di quel giorno memorabile e, allo stesso tempo, la sua personale lettura di quelle parole che si scolpirono fiammeggiando sulla roccia del Sinai. E da parte sua non è semplicemente un raccontare, ma piuttosto un rivivere egli stesso quell’ora fondamentale nella storia del popolo d’Israele e dell’Umanità intera, assieme a quegli uomini e a quelle donne che avevano accettato di affrontare l’incertezza del deserto per seguire la promessa di Jahvè, Dio che li voleva liberi e in cammino piuttosto che sicuri ma schiavi in Egitto. De Luca dice infine di se stesso: «L’ebraismo che ha riempito i miei risvegli viene da qui…Volli partire dalla terra delle dieci piaghe, mi aggiunsi a un popolo che usciva a braccio alzato e con il canto in gola. Come un ragazzo si stacca dal suo posto, va per ammirazione dietro i carri di un circo così mi sono messo in coda al popolo del Sinai… M’invitano alle tende, per l’uguaglianza dovuta allo straniero. M’invitano tra loro fino a dovere dire molti no… Rimango volentieri nel deserto, il posto più capace di ricoprire un corpo con il vento». Recensione a cura di Giuseppe Borziello E disse, di Erri De Luca, ediz. Feltrinelli 2011, pagg. 89, €. 10,00
 
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