Recensioni libri di montagna

Al Kangchenjunga

Paul Bauer

Al Kangchenjunga


Dopo i tre tentativi inglesi di salire l’Everest (1921, 1922 e 1924), interrotti alla scomparsa di Mallory e Irvine oltre quota 8500 metri, l’esplorazione alpinistica in Himalaya ebbe una battuta d’arresto. Le spedizioni tedesche, guidate da Paul Bauer al Kangchenjunga ne segnarono la ripresa. Nell’ultimo scorcio del 2012 il Club Alpino Accademico Italiano ha pubblicato, con la traduzione e sotto la cura di Giovanni Rossi, la prima traduzione italiana di Kampf um den Himalaja (München 1934), in cui il capo spedizione aveva riunito le parti narrative dei libri dedicati separatamente alla spedizione del 1929 (Im Kampf um den Himalaja - 1931) e a quella di due anni dopo (Um den Kantsch - 1933). È un testo di rilevante interesse storico, non solo per il racconto dell’ascesa, ma anche della sua preparazione e delle motivazioni. «Tutto il movimento alpinistico tedesco degli anni 1920 era caratterizzato da uno spirito che, dopo la sconfitta nella Guerra Mondiale, era alimentato dalla volontà di reagire a una sorta di prostrazione morale» afferma Giovanni Rossi (p. 13). E, in effetti, Bauer fa frequenti riferimenti alle esperienze di guerra, comprese quelle personali di giovane combattente e poi di prigioniero. Chiarisce Bauer, con toni legati alla retorica del tempo: «Non era come se fossimo spinti da cieco fervore o perfino da ambizione sfrenata; sotto certi aspetti questo monte era per noi l’occasione di esercitare qualità che sono diventate superflue nella vita borghese, e che noi sentivamo essere il massimo valore di tutta una vita: coraggio mai vacillante, cameratismo e spirito di sacrificio che non vienemai meno» (pp. 16-17). Va precisato però che il capo spedizione si batté per una scelta autonoma della squadra degli alpinisti, fatta con criteri ‘non politici’, «con esclusione di tutte le influenze esterne» (p. 17). Espressione che, nella Germania del 1934, risulta inequivocabile. Innovativi i metodi organizzativi, che sarebbero poi stati seguiti da tutte le spedizioni degli anni a seguire. «La nostra organizzazione si basava su principi nuovi. Limitammo per quanto possibile il bagaglio e con esso anche le nostre esigenze e costruimmo sul cameratismo, sullo spirito di sacrificio e sull’organizzazione rigorosa» (p. 17). Metodo imposto dalle precarie condizioni economiche della Germania di allora, ma che esaltò la capacità organizzativa e di previsione. I tempi non erano ancora maturi, ma l’esperienza acquisita da queste spedizioni formò la base per il successo del ‘decennio degli ottomila’. D’estrema correttezza anche la scelta della meta: «La vetta scelta è il Kangchenjunga, allora ritenuta di altezza inferiore solo all’Everest, al quale rinunciarono per rispettare un diritto di priorità [degli inglesi] che oggi farebbe sorridere» (Presentazione di Giacomo Stefani, p. 11) Respinto una prima volta a quota 7400, Bauer riproverà due anni dopo, sempre tentando l’ascesa dallo sperone NE, fino all’incidente – oltre quota 7700 – che costò la vita a Hermann Schaller. La storia di una sconfitta, si potrebbe dire. Invece il curatore – che in Appendice stila la storia alpinistica della montagna – ci informa che «con la spedizione del 1931 il problema della salita del Kangchenjunga era stato, dal punto di vista delle difficoltà tecniche, sostanzialmente risolto» (p. 13). Il racconto è vivo, mantiene la tensione e suscita stupore per la determinazione e l’incredibile spirito di sacrificio di questi uomini (dote universalmente ammirata – e talora temuta – delle stirpi germaniche). La figura dell’autore viene ben tratteggiata da Erich Vanis, in un ricordo posto in Appendice. «Già da quando ho cominciato ad andare in montagna, il suo nome aveva avuto per me l’aura di “qualche cosa di grande”. Paul Bauer era già allora una reliquia di quell’eroico periodo di scoperta» (p. 130). Bauer (1896 – 1990), notaio di Monaco, fu a capo di spedizioni importanti, da quella in Caucaso del 1928, alle due raccontate in questo libro, a quella nel Sikkim del 1936 (prima ascensione del Siniolchu, 6879 m); nel 1937 guidò la spedizione di soccorso al Nanga Parbat che disseppellì i 7 alpinisti e 9 sherpa sepolti da un’enorme valanga che aveva ricoperto il campo IV; sul Nanga Parbat tornò l’anno successivo, sempre come capo spedizione. Per il racconto della spedizione del 1929 fu insignito della Medaglia d’oro della competizione letteraria ai Giochi Olimpici di Los Angeles del 1932. È stato nominato Socio onorario del Club alpino austriaco e del Club alpino accademico di Monaco. Recensione a cura di Marco Dalla Torre Al Kangchenjunga, di Paul Bauer, a cura di Giovanni Rossi, Club alpino accademico Italiano, 2012, pagg. 134.
 
Questo sito utilizza i cookies: per continuare a navigare sul sito è necessario accettarne l'utilizzo. Per ulteriori info leggi qui.
This site uses cookies: to keep on browsing you must accept them. For more info click here (italian only).