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Ermanno Olmi
L’apocalisse è un lieto fine
L’apocalisse è un lieto fine Con questo volume dalla struttura apparentemente semplice, ma in verità ricca di messaggi e considerazioni, Ermanno Olmi, regista nato a Bergamo nel 1931, racconta la sua vita a spizzichi e a tratti ma, in compenso, sempre densa e affascinante. La vita nella cascina della nonna che ha i capelli rossi come i suoi è al centro della sua infanzia e tra i ricordi c’è la risposta che lei gli dava di questa comune connotazione quando gli spiegava: «Gli altri bambini nascono sotto i cavoli, tu invece sei nato sotto una pianticella di pomodori ». È questo il mondo che Olmi rievoca nel film L’albero degli zoccoli dando fiato ed estro poetico alle storie contadine dei suoi nonni. È uno dei più grandi film italiani degli anni ‘70 in cui si ritrovano riuniti (come scrive il Morandini) i grandi temi virgiliani: labor, pietas, fatum. Molte le scene indimenticabili come la semina sotto la prima nevicata, un gesto consumato come una funzione sacra, una rappresentazione idealizzata, una rarefazione spirituale che richiama in modo emblematico l’inaudita speranza cristiana grazie alla sapiente conoscenza della Bibbia e alla familiarità operosa con il modo di pensare e di agire richiesto dalla parola di Dio. Questa premessa ci consente di entrare nell’anima del libro in cui, pagina dopo pagina, l’autore passa in rassegna tutto il suo mondo, le sue passioni, le sue idiosincrasie, le sue preferenze, dimostrando come egli dice di sé che non è “un sentimentale, ma un uomo di sentimenti che è diverso”. Nato da un padre ferroviere, licenziato perché non vuole prendere la tessera del fascio, si ritrova a Milano in una povera casa di ringhiera. Sulle orme del padre (assunto perché il capo del personale è antifascista e chiude un occhio) Olmi è assunto nelle Officine del Gas della Edison–Volta. Per la sua passione di cineamatore si trova a realizzare per questa industria cortometraggi e documentari che l’avvicinano alla montagna da sempre apparentemente irraggiungibile. Del 1959 il suo primo film a soggetto Il tempo si è fermato che, nato come documentario, «crebbe – dice – sotto le sue mani» e divenne il suo primo lungometraggio, un semi-documentario sui rapporti fra un rude montanaro e un inesperto giovane, guardiani di una diga del Venerecolo in Val Camonica a 2500 metri. Il film ha qualcosa in comune con il neorealismo italiano, ma di fatto anticipa per talento, originalità e rottura di schemi il nuovo cinema degli anni sessanta. La montagna innevata, bella e arcigna, è una presenza selvaggia e taciturna. Sovrasta il difficile rapporto tra uomo e ambiente sia quando si passa con leggerezza “dall’umorismo e dall’ironia bonaria alla drammaticità della notturna e ventosa tempesta”. Il volume si sviluppa con lo stesso stile, casto, rigoroso e coerente. Si parla poco di cinema, anche se un posto privilegiato è riservato a Roberto Rossellini, a cui Olmi riconosce di essere debitore. Di lui scrive: «Lo esaltava l’istante in cui scaturiva il lampo di un’idea». Olmi procede casualmente ma nulla gli sfugge partendo da piccoli episodi, note e aneddoti tocca tutti i temi: la campagna, la città, l’omologazione della società dei consumi e così via sino a una proposta conclusiva, leggibile tra le righe, di un’economia della sufficienza che gli deriva dalle tante osservazioni ed esperienze, dalla scelta di fondo di vivere sull’altopiano di Asiago dove la vita ha un ritmo pacato. Al limite del bosco, ha studiato lo scoiattolo che salta di ramo in ramo e che non teme più di avvicinarsi e ha seguito l’aquila dal volo lento e ascetico sul fondo del cielo. L’azione cede il posto alla riflessione e alla contemplazione. Oltre all’amore per il mondo dei monti con i suoi incanti minimi e i trasalimenti del cuore, la lezione accorata che ci propone è che non sempre di più è meglio e che è folle aumentare le pretese di crescita a dismisura di beni materiali. Abbiamo limiti planetari, occorre ridurre gli sprechi di energia e risparmiare di più, ma chi lo spiegherà agli economisti? La domanda del tutto drammatica resta irrisolta. Eppure il cristiano, secondo l’apostolo Pietro, è tenuto a “rendere conto della speranza” che lo abita a chiunque glielo chiede. Il titolo del volume ci dice che la storia non è altro che la realizzazione della profezia dell’Apocalisse. È vero infatti che svelando il senso della salvezza, l’Apocalisse si configura come una speranza possibile in ogni momento perché non ha una connotazione storico-temporale ma religiosa. L’Apocalisse è quindi il permanere della promessa, l’avvento della Gerusalemme celeste che si annuncia come certezza in mezzo al dolore e alla violenza universale. E allora, scrive Olmi: «Non vi sarà più morte né lutto, né lamenti, né affanno perché le cose di prima sono passate». Una verità che è bene ricordare (recensione a cura di Dante Colli) L’apocalisse è un lieto fine, di Ermanno Olmi, ed. Rizzoli 2013, pagg. 252, €. 18,00.