Recensioni libri di montagna

The playground of Europe

Leslie Stephen (a cura di Giovanni Rossi)

The playground of Europe


“The playground of Europe”, il terreno di gioco dell’Europa: questa espressione di Leslie Stephen - celebre alpinista e critico letterario inglese, nonché padre di Virginia Wolff, vissuto fra il 1832 e il 1904 - è divenuta proverbiale nell’ambiente alpinistico mondiale. Data come titolo a un suo fortunato libro, comprendente una serie di récits d’ascension, uscito a Londra nel 1871 e che solo nel 1999 ha avuto una traduzione italiana, è stata sfruttata infinite volte per definire la cerchia alpina nel suo significato più profondo: cioè come luogo, fisico ma anche ideale, dove l’homo ludens come ben individuato da Huizinga nell’omonimo saggio del 1939, può esercitare una delle forme più nobili della sua innata tendenza al gioco, l’alpinismo. Dell’opera, che ebbe varie ristampe in patria e una versione francese della Engel nel 1934, si impadronì subito l’ambiente alpinistico, eleggendola quasi a simbolo della capacità tutta britannica di raccontare le ascensioni con disincanto ed umorismo; il ben noto understatement d’oltremanica che la nostra prosa ignora. Per completare l’inquadramento, resta da dire che sia in patria sia all’estero il libro - composto da articoli usciti in diverse occasioni e su vari periodici - è stato liberamente rielaborato più volte, tanto che è difficile trovarne due edizioni con lo stesso contenuto. Per merito di Giovanni Rossi e delle edizioni Tararà veniamo adesso a scoprire che l’edizione originale del 1871 - e la successiva del 1899, ristampata nel 1907 - in realtà recavano in apertura due capitoli che sono stati omessi nelle edizioni e traduzioni successive. L’opera di Leslie Stephen assume così una nuova luce; ed è significativo che ciò avvenga proprio nell’anno in cui cade il 150° anniversario della “prima” al Monte Disgrazia (24 agosto 1862) ad opera del medesimo Stephen in compagnia di Edward Kennedy, della guida Melchior Anderegg e di Thomas Cox. Anniversario che nell’agosto del 2012 ha avuto ampia risonanza nelle valli che circondano il Picco Glorioso (The Glorious Peak lo chiamarono i primi salitori); ed è un vero peccato che questo nome sia stato ignorato dai soliti pedanti topografi, dando il via a una serie di fantasiose supposizioni ancor oggi circolanti circa l’origine del poco felice toponimo attuale. I due capitoli molto opportunamente “ripescati” da Rossi costituiscono un aspetto illuminante del libro di Stephen, che è quello storico/filosofico; essi ci restituiscono il clima in cui i pionieri inglesi dell’alpinismo si mossero nell’ambito del clima culturale europeo per quanto atteneva alle conoscenze scientifiche e naturalistiche delle montagne; come dovettero cioè spesso vincere molti miti e pregiudizi che snaturavano la realtà del mondo alpino. Le lunghe campagne dei benestanti alpinisti britannici sulle nostre Alpi, con guide svizzere al seguito, dovettero sembrare una follia per i contemporanei; e lo scritto inedito di Stephen, peraltro redatto in linea con il suddetto understatement, è in realtà una garbata polemica (o autodifesa?) nei confronti di chi ai suoi tempi ancora considerava le montagne come “orribili escrescenze”, e le ammirava solo “proprio perché sono orride”. Dietro la redazione di questi due capitoli si intuisce una formidabile cultura; non c’è scienziato europeo dei suoi tempi, che abbia scritto di natura o di montagna, che Stephen non citi, bonariamente rintuzzando le più strampalate teorie, come quella dei “draghi fiammeggianti… che sembra fossero comuni come gli avvoltoi”. Non c’è scienziato, scrittore o naturalista - da Rousseau a Burnet, da Haller a Scheuchzer, da Chateaubriand a Ruskin - le cui teorie sulle montagne egli non consideri, garbatamente confutandole ove necessario. Sembra che questi due capitoli introduttivi dovessero servire per dare ai lettori del tempo una giustificazione culturale dell’insolito (per allora) genere letterario scelto da Leslie Stephen per il resto del libro; cioè i racconti delle sue salite. A noi il meditarli, per riconoscere che i pionieri inglesi non si sono limitati ad aprire vie nuove sui nostri monti, “inventando” l’alpinismo, ma hanno altresì il merito di averne aperte molte altre in campo intellettuale per la corretta conoscenza del mondo alpino; sfatando leggende, smantellando assurde teorie e consegnando la montagna all’immaginario collettivo nelle sue reali dimensioni fisiche e spirituali (recensione a cura di Lorenzo Revojera). The Playground of Europe, di Leslie Stephen, (Capitoli I e II) - a cura di Giovanni Rossi - Ediz. Tararà, 2012, pagg. 78, €. 10,00.
 
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