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Italo Zandonella Callegher
La ragazza del mulo
Dopo “Il pastore che amava i libri” (Biblioteca dell’immagine editore) commosso ritorno agli anni della giovinezza, Italo Zandonella si ripresenta sul mercato editoriale con una nuova e vasta opera che ci riconferma come siano sempre i luoghi la sede della storia. Per lui, l’Alto Comelico e nello specifico la Cresta Carnica Occidentale, individuata come Cresta del Confine, catena che corre dai monti di Sesto al Peralba. Su di essa nei due anni che vanno dal 1915 al 1917 scrive: «Si consumò un massacro che troppo a lungo è stato dimenticato dalla storiografia ufficiale». Vallate e paesi furono travolti infatti dalla furia della Grande Guerra e l’autore, nativo di Dosoledo, impeccabile nel restituirci il paesaggio che si chiude a corona, non dimentica il luogo di origine né si rassegna alla cancellazione della memoria storica, di cui saremmo altrimenti diseredati per l’arroganza della nostra autosufficienza. Tenendo conto della sua produzione letteraria viene da pensare anche che, oltre a privilegiare la documentazione storica, l’autore sia mosso dalla personale motivazione che non si può meditare sulla nostra vita basandosi solo sulla propria ragione critica. Non si tratta infatti in ogni caso di una costruzione formale, ma di qualcosa che attiene all’esperienza che abbiamo del nostro essere e in gran parte della nostra verità esistenziale da sempre tributaria della catena di immagini, di pensieri e di comportamenti che ne costituiscono l’essenza e la continuità. Né ci è concesso perdere la capacità di interrogarci e di resistere all’avanzata del deserto che minaccia i nostri valori che sono poi non solo nostri, ma universali e pertanto va riconosciuta l’indiscutibile bravura dell’autore nel controllo dettagliato e nel possesso anche documentario di questi materiali. Il ritmo del volume è assai fluido, il racconto ha qualche concessione al parlato attuale e quindi è a tratti confidenziale, ma quello che appare straordinario è che il dolore, presente in tante tragiche vicende, rimane semplicemente dolore, cioè non si trasforma in angoscia. E questo mi pare frutto di una grande umanità, di una sedimentata esperienza, di una filosofia di vita in cui anche le tante vicende personali vengono storicizzate e quindi in un certo senso superate nella loro contraddittorietà. Si consente in questo modo alla memoria di perpetuare fatti e avvenimenti liberati da ogni logorante incrostazione nella utopica prospettiva di conservazione totale. Il volume si compone di diverse parti intrecciate tra loro. La prima è costituita dalla lunga successione degli episodi di scontro tra italiani ed austriaci con chiarificatore esame delle fonti e confronto delle testimonianze ristabilendo la verità e chiarendo definitivamente quanto accaduto: vedi l’elenco dei caduti nei vari combattimenti; l’episodio del 27 maggio 1915 quando si cerca di appurare consistenza e posizionamento degli austriaci e il caporale Bertagnin va a riprendersi sotto il fuoco nemico il fucile perso da un ferito e lo riconsegna al commilitone (pag. 40) o l’episodio che vede protagonista la Compagnia dei Volontari Alpini del Cadore e dei Finanzieri del XVIII Battaglione in cui “si fondono a perfezione le virtù guerresche dei due reparti” tanto che dei quattro feriti due sono alpini e due sono finanzieri. Il volume è ricchissimo di episodi e situazioni, tragiche e aneddotiche, ma al di là di questa realistica architettura di mondi, di storia, di alpinismo militare (pag. 102) il pregio e il fascino della stesura è che il tempo appare reale con tutte le sue scadenze e inesorabile avvicendarsi. Il potere unificante di archi di tempo lontani e diversi è dato dalla memoria e offerto dalla storia, elementi che nell’esperienza personale dell’autore trovano riscontro in convinzioni e spiegazioni vere e percepibili coinvolgenti lo spirito. Tra i tanti episodi citiamo: il coro dei tirolesi (pag. 136); i ripari scavati con le baionette (pag. 150), l’uso di mine di gas e di aerei (pag. 165). Tra i protagonisti, Alberto Tonello membro di una famiglia di sedici fratelli, eroe del Passo della Sentinella e medaglia di argento alla memoria (pag. 184). La seconda vicenda raccontata nel volume è quella di Giséta, “la ragazza del mulo”, un pezzo di storia della famiglia Zandonella. È un controcanto alla guerra. Anche a livello poetico c’è sempre un ritorno all’impietosa realtà, alla vita vera perché accaduta, senza ricamarci troppo sopra, ma facendola scorrere come in un documentario che non è legato all’esigenza della ricerca ma a una delicatissima storia d’amore. Sullo sfondo tra la complessità da un lato e la semplificazione dall’altro (inevitabile in una cronaca) persiste la forte necessità di approfondire e di andare oltre alle azioni quotidiane, modeste e importanti, di una famiglia che è nella storia della valle. I destini della gente qualsiasi sono il vero romanzo. Storie maggiori e storie minori. Un mosaico di frammenti appartenenti a qualche personaggio che si incontra nel volume e che si segue nel suo destino fino alla morte. Il presente è il passato del nostro futuro. Ciò che ci interessa è sentire la presenza fisica della storia, sia quella maggiore che quella di tante persone “qualunque” la cui vita è sfiorata e travolta dagli avvenimenti. La storia degli sconosciuti, in conclusione. Ed è quella che non viene dimenticata, un’immersione nella storia minuta, una faticosa eppure umanissima raccolta di tracce, segni, prove in grado di spiegare la tragedia di una guerra mondiale di cui Giséta appare quale innocente vittima sacrificale. L’autore evita il rischio di dare tutto per scontato e già visto. Non sfuggono così per sempre avvenimenti e vicende che sono invece la vivente storia del Comelico Superiore. Quella vera, pagando così un debito dovuto. Tutto questo però non basta a Zandonella che aggiunge una corposa appendice di testimonianze e diari. Nella loro tragica immediatezza si alternano lucidità e ricordi. I sentimenti vengono comunicati da una cronaca vissuta sulla propria pelle, dall’interno. La profonda diversità dai libri di storia è che in queste pagine traspaiano le emozioni e le illusioni della giovinezza, i dolori dell’anima consapevoli che peggio sarebbe non averli provati mai. Racconta fra’ Bonaventura da Elcito che serviva ben 25 postazioni oltre a numerosi osservatori, che quando «arrivava dai soldati era un giorno di festa». Sapeva accarezzare la mano dei moribondi e dialogare con loro e recuperarli dalla disperazione di un chiuso irredimibile dolore anche perché è difficile contare su un onore senza gloria e su una dignità senza mercede quando solo la verità, nei più diversi modi, ci potrebbe salvare. Non manca un itinerario in cinque tappe sui luoghi delle battaglie con adeguata relazione tecnica e storica, ampiezza di note, ampia bibliografia, toponomastica italo-austriaca e indice dei nomi. Il libro chiude con gli avvenimenti dell’Isonzo quando gli alpini della posizione più settentrionale d’Italia, più incuneata nelle linee nemiche, sono costretti a ritirarsi il 4 novembre 1917 abbarbicandosi sul Grappa restandogli “nel più profondo dell’anima, per un anno, il ricordo nostalgico” di quegli alti luoghi lontani. Sembrerebbe impossibile. Questo sentimento frutto di una lotta e di sacrifici senza quartiere ci fa concludere che la vita anche quando esprime i contenuti più disperati è pur sempre comunicazione di vitalità. L’esistenza e le opere dell’uomo rappresentano al vivo la nullità delle cose e della guerra, in particolare le più terribili disperazioni servono sempre a riaccendere quella grandezza senza splendore di cui siamo tutti depositari. Anche la rappresentazione della morte rende testimonianza di quella vita e di quei modelli etici e morali che il mito illusorio della modernità vorrebbe seppellire o quanto meno dimenticare. È questo il senso e il messaggio della paura e della violenza, della fede e del dolore di cui l’autore, infrangendo barriere spazio-temporali, conserva la presenza tra noi materializzando la guerra, i compagni, le notti di veglia, la morte e tutto ciò che si è immaginato di quegli anni, fantasmi che la memoria conserva ancora vivi, come preziosi compagni di viaggio (recensione a cura di Dante Colli). La ragazza del mulo, di Italo Zandonella Callegher, Mursia editore 2012, pagg. 374, 46 foto b/n, €. 19,00.