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Gianni Pàstine
Fuoco sulle montagne verdi. L’Appennino ligure nella Seconda guerra mondiale: una storia militare
L’ultimo lavoro editoriale di Gianni Pàstine è volto ad una minuziosa ricostruzione storica dei fatti d’arme avvenuti sull’Appennino ligure nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Con rigorosa documentazione storico geografica ed il consueto stile asciutto e schietto, l’autore si propone di analizzare i fatti e le persone senza preconcetti ideali, rischiarandoli con la luce della verità storica. Ciò costituisce lo spunto per un obiettivo generale ben più ambizioso, al quale il lavoro può dare ulteriore impulso, e cioè una presa di coscienza degli errori della storiografia italiana ufficiale. Con numerosi esempi l’autore ci fa capire come la verità di alcune vicende sia stata volutamente alterata, solo allo scopo di renderla coerente con la pur legittima esaltazione del movimento di Resistenza. Forte della conoscenza capillare del territorio, della sua storia, dei suoi toponimi, Pàstine svolge un pregevole lavoro analitico nella esatta ricostruzione di fatti e luoghi, senza tuttavia mai perdere di vista l’ambiente in cui si muovono i personaggi, con frequenti ed opportuni allargamenti di scena dall’Appennino al contesto di guerra europeo. Il paesaggio rurale dell’Appennino, le vie di comunicazione, le condizioni di vita degli abitanti vengono tratteggiati in maniera vivida, evidenziando una povertà vissuta con serenità nel rispetto di indiscutibili valori sociali. La personalità scorbutica ma sincera della gente ligure di montagna si riassume bene nella figura di Albina, la locandiera del Musante, presso la vetta del Monte Antola, che, durante una riunione presso la sua locanda, irritata dal parlare sottovoce per prudenza cospirativa di alcuni partigiani, “terminata la cena, li aveva cacciati senza complimenti perché non voleva gente che tenesse segreti per lei”; Albina avrebbe poi sostenuto la causa partigiana senza riserve. “Quella sera, comunque, quei primi partigiani avevano dovuto, loro malgrado, percorrere il freddo e ventoso crinale verso nord est e recarsi a pernottare presso la più ospitale Casa del Romano”. La narrazione dei fatti d’arme è inframmezzata dai più disparati momenti di vita della società del tempo, che manifestava una vitalità inaspettata, anche nello sport; vengono così ricordate le imprese alpinistiche su inviolate pareti delle Alpi e lo svolgersi dei campionati di calcio. Da un quadro fosco di vendette, ritorsioni, spie, vere o presunte, che ben tratteggiano l’orrore della guerra civile, emergono pittoresche scenette, descritte in maniera sapiente e colorita, che drammatizzano il disorientamento del popolo italiano. Così sembra davvero di aprire un ondulato sipario quando di fronte a noi Pàstine, abile burattinaio, muove il macellaio di Celle, che “sfotteva il fascistissimo falegname”, la ex fiduciaria del fascio femminile alle prese con la macellaia, il marito della postina, il parrucchiere. Ma si tratta solo di gustose parentesi all’interno di un’analisi storica che mette a nudo atrocità commesse da entrambe le parti: la “macabra ragioneria” dei tedeschi, che erano soliti uccidere dieci prigionieri per ciascuna perdita subita, come fecero in occasione del tragico eccidio della Benedicta; la spietata “giustizia partigiana” che aveva fucilato il cappellano partigiano don Attilio Pavesi, reo di aver tentato di favorire la fuga di alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte, mentre prestava loro i conforti religiosi. Nel delineare vizi e virtù di piccoli e grandi protagonisti delle vicende, l’autore si preoccupa di individuare i meriti non riconosciuti, come è il caso del maresciallo Enrico Caviglia, firmatario di un accordo col feldmaresciallo Kesselring, che avrebbe salvato tanti italiani dalle sofferenze della deportazione. A chi invece Pàstine riconosce ben pochi meriti è ai piloti alleati, le cui incursioni si segnalavano per imprecisione e cinismo. Così la morte del parroco di Rossiglione, don Scovazzi, e del vice parroco di Villavernia, quest’ultimo mentre benediceva la gente rifugiatasi in Chiesa, viene collegata, con triste ironia, alla “perizia bellica” dei piloti americani, mentre Rapallo fu persino colpita con il solo scopo di liberarsi del carico di bombe; ancora una volta ironia e tristezza si mescolano nelle parole di Pàstine: “I bombardieri USA avevano mancato l’abbastanza importante nodo ferroviario di Fidenza, in Val Padana, per scarsa visibilità, rifacendosi così su un obiettivo turistico. Vi morì l’arciprete e la penitente che stava confessando”. Per non parlare delle numerose vittime civili dei bombardamenti su Genova, con il Cardinal Boetto che, salito fra le macerie, officiava la Messa e invocava la punizione divina sugli aggressori … “È il momento di tirare le somme” sentenzia l’autore al termine del suo lavoro. La conta delle vittime evidenzia una tragica realtà: i caduti sotto i “terroristici” bombardamenti aerei superano in numero quelli in combattimento delle formazioni di montagna e, insieme alle oltre mille vittime dell’esplosione di un deposito di tritolo a Genova a seguito di un maldestro sabotaggio, risultano essere “le più dimenticate”. Saggia considerazione, quella dell’autore, che ci porta a pensare come i numerosi monumenti in memoria dei caduti sparsi sulle montagne dell’Appennino Ligure, a triste ricordo e monito, rappresentano solo un frammento di una tragedia di più ampia portata. (a cura di Guido Papini) Fuoco sulle montagne verdi. L’Appennino ligure nella Seconda guerra mondiale: una storia militare, di Gianni Pàstine. Editore De Ferrari, pagine 180, euro 18,00.