Recensioni libri di montagna

Alpinismo dietro le quinte

Lorenzo Revojera

Alpinismo dietro le quinte


Lorenzo Revojera con questo volume ci invita piacevolmente a rivisitare personaggi e luoghi che, a partire dagli inizi del movimento alpinistico, si innestano nei nostri ricordi senza mai cessare di stupirci per varietà di episodi, novità biografiche e disegno caratteriale e morale dei protagonisti.

Questa ricchezza, che non cessa di incuriosire e stupire, nasce da una ricerca che ha sondato fonti non comuni, un'’ampia bibliografia quindi che comprende libri rarissimi e persino prime edizioni, oggi introvabili, e dimenticati diari personali. Ciò premesso, in questa messe di notizie, aneddoti, vicende personali e collettive, emerge il dato della centralità dell’alpinismo lombardo e in particolare della città di Milano, la cui posizione geografica influenzò la sua attitudine politica rendendola crocevia di commerci e scambi di persone e merci. Milano è stata ed è metropoli europea per vocazione, e tra chi l’ha sostenuta non manca certo l’apporto delle associazioni alpinistiche e di numerose figure di riferimento ricordate da Revojera. Citiamo tra queste Mario Tedeschi (1873-1944), che assunse il compito (già propugnato da Luigi Brioschi nel 1808) di avvicinare le Alpi al popolo organizzando un’escursione popolare al passo di Zocca e al ghiacciaio dell’'Albigna nel giugno 1911 a cui parteciparono 626 iscritti, una vera epopea che si ripeté con altre mete negli anni successivi.

La montagna aperta a tutti, quindi, un diritto di tutti, mentre oggi, commenta l’autore, “assistiamo al processo inverso: …l’assurda proposta di contingentare l’afflusso alla montagna”. Il successo di queste iniziative è legato anche a ragioni storiche, in relazione “allo sviluppo industriale della città, alla tradizionale apertura delle sue classi sociali e alla questione operaia che in essa prese forma”. Senza dimenticare la Scuola Nazionale di Alta Montagna “Agostino Parravicini” del C.A.I. Milano, attorno a cui si formò una realtà alpinistica di altissimo valore che annovera protagonisti quali Luigi Brasca, Aldo Bonacossa, Gaetano Scotti, Alfredo Corti, … “un’'élite intellettuale che comprendeva laureati, diplomati, professionisti e membri della borghesia”.

Credo si possa concludere che, accanto a Torino, con la sua consolidata identità e storia, si possa porre con eguali meriti questa Milano, così ben presente e illuminata, come risulta da questo stesso volume.


UN APPROFONDIMENTO NECESSARIO

In questo compendio c'’è in Revojera la capacità di pensare globalmente e penetrare caso per caso, riversando il tutto nello specifico. Da qui testi esaurienti che forniscono tutti gli elementi per tracciare il profilo di un’epoca, quella dell’alpinismo senza mezzi artificiali. Revojera appare sollecitato anche dalla considerazione esplicita del ruolo determinante delle guide, di cui coglie la concreta lezione di sapienza alpina. Tra i personaggi mostra un profilo di Papa Pio IX, alpinista che “lasciò” la piccozza per il pastorale di Pietro e “l’amore per la montagna elevata a virtù”. Rivela che fu un possibile candidato a una spedizione del Duca degli Abruzzi nei mari artici, possibilità inevasa che salvò la possibilità della Conciliazione tra Stato e Chiesa.

Un ulteriore approfondimento sugli anni Trenta è nel tragico racconto della morte dei fratelli Longo sul Cervino, vittime anche del regime fascista perché “la vittoria era d’obbligo e le disgrazie andavano taciute”, atteggiamento cui il C.A.I. seppe reagire. Il panorama si allarga concentrico, con pagine ben scritte per una completezza ravvivata da lampi paesaggistici e da felici aneddoti.


UNA DOMANDA FINALE

Ci siamo chiesti se c’è un elemento unificante che percorre il libro. La ricchezza del volume richiama riferimenti alti. E’ nell’uomo che dobbiamo cercare elementi di un percorso ideale unitario. Goethe indicava come atteggiamento iniziale quello di non cessare di stupirsi per liberarsi dalle incrostazioni, dalle allergie e dal pressapochismo che non portano a nulla. Da parte sua Simone Weil indicava l’ordine della natura, la bellezza ovunque presente, i sentimenti, dal dolore alle aspirazioni più alte, come le tre vie per arrivare a Dio, ma anche per raggiungere una condizione di libertà, una presa di coscienza, una consapevolezza che ritrova in sé stessi motivazioni, fini e realizzazioni di sé. “Non esiste un uomo che vince e una montagna che perde”, perché è dentro di noi che si svolge e si tesse un rapporto che si supera “lottando innanzitutto contro sé stessi e per superare i propri limiti”.

I dogmi di riferimento per gli “attori” del volume sono la storia, la bellezza, la coscienza civica e comunitaria. Da qui deriva la compostezza del libro, che dedica a questi temi almeno metà delle sue pagine, perché tutto questo è reale e si esprime sia nel desiderio di conoscere tutto quanto viene avvicinato sia nella nostalgia per il bello e il creato. Il volume, grazie alla sapiente costruzione che ne ha fatto l’autore, ha un suggestivo fondo sapienziale, è percorso da una malinconica poesia esistenziale; il solo colore che potremmo dargli è argento-luce, quello di una riflessione spirituale di riconciliazione con la natura, sempre immensa per la nostra erratica perplessità, ma comunque avvicinabile, conoscibile e conquistabile nel suo silenzio. Per dirla in termine accalorati, questo mondo di cime e valli è un regno di ombre e a un tempo un’opera di luce, che si lascia attraversare dalla deriva dell’immaginario dell’alpinista, che lo corteggia esaudendo l’attrazione che personalmente prova.

L’'alpinismo vagheggiato da Revojera e riproposto nel libro trova, oggi, la sua espressione evoluta esaltata da velocità e rischio, in un temibile suicidio compiuto proprio nella culla in cui è nata l’umanità, e che consiste nella demolizione della bellezza e, per reazione, nell’amore nei confronti della vittima che avremmo l’obbligo di salvare. Rimane una insistita fiducia nell’umanità sulla base di quanto credeva Pascal: l’uomo supera infinitamente sé stesso e sempre rinasce e si ripresenta. Il bene è silenzioso come la foresta che continua a crescere. La sua odissea trova riscontro nell’Apocalisse che dopo venti capitoli di sangue finisce con la realizzazione di una speranza. Nell’'autunno scorso Bepi De Marzi, simbolo della coralità popolare italiana, sceglie il silenzio e scioglie i suoi Crodaioli, il coro-icona della canzone di montagna, fondato oltre sessant’anni fa.

Sceglie il silenzio “perché questa Italia non sa più ascoltare. La sua storia e quella degli altri”.
Sono parole e decisioni che fanno pensare.

Dante Colli
 
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