Recensioni libri di montagna

Nuto Revelli. Vita guerre libri

Giuseppe Mendicino

Nuto Revelli. Vita guerre libri


Una vita, quella di Nuto (Benvenuto) Revelli, retta da una grande dirittura morale e da un grande senso di responsabilità etica; che si è trovata costantemente dalla parte dei “vinti”. Imparò a conoscerli appena arrivato al 2° Reggimento Alpini, nel 1941. Nuto, che era nato a Cuneo nel 1919, vi giungeva dalla Regia Accademia di fanteria e cavalleria di Modena, che aveva frequentato dopo il diploma di Ragioneria e dove si era formato sulla base di un grande senso del dovere («sei un tedesco» gli diceva a volte il suo tenente istruttore; ed era un complimento...). Loro - contadini delle montagne del cuneese - tornavano dalla terribile esperienza dell’Albania ed erano insofferenti ad ogni formalità. Revelli non si irrigidì e anzi imparò ad ascoltare e a capire. Venne poi l’esperienza del fronte russo, con la responsabilità indicibile di portare in salvo i propri uomini (decisiva fu la scuola del leggendario capitano Grandi, comandante della Compagnia dove operava Revelli). Come molti altri militari italiani, Nuto provava un sordo rancore verso gli alleati tedeschi e la scelta della Resistenza fu quasi naturale. Divenne Comandante della 4a banda “Giustizia e Libertà”, dislocata nella Valle dello Stura di Demonte. Si seppe guadagnare grande stima e prestigio presso i Comandi inglesi, anche per la sua intelligenza tattica nell’affrontare il grande attacco germanico di metà agosto 1944: la sua “difesa elastica” ottenne di rallentare l’avanzata di dieci giorni, salvando la gran parte delle sue forze. Come aveva giurato a se stesso già in terra di Russia, a guerra finita lasciò per sempre l’Esercito e fondò una piccola ditta per il recupero e vendita di rottami di ferro, che lo vide impegnato fino alla pensione. Ma la sua più vera responsabilità era altrove. Nella rinascita politica prima (fu Delegato al primo congresso del Partito d’Azione e nelle Amministrative del 1946 venne eletto al Comune di Cuneo) e nel lavoro storico poi, che lo portò a pubblicare diversi volumi, cui deve la sua - giusta - fama. Quasi subito, nel 1946, pubblicò “Mai tardi” che, se sul momento non ebbe grande risonanza, gli procurò la stima e l’amicizia di Mario Rigoni Stern. In Russia i loro reparti erano attigui, ma non si erano incontrati. Un compaesano di Rigoni, che era stato partigiano agli ordini di Revelli, gli portò in regalo una copia di questo libro. E Mario ne fu colpito; gli fornì lo spunto e la forza di iniziare a scrivere quello che sarà “Il sergente nella neve”. Per sua ammissione, fu anche un punto di riferimento stilistico. Revelli aveva rielaborato il diario personale tenuto in quei mesi con lucida consapevolezza storica, usando il tempo presente ed evitando di sovrapporre la consapevolezza del dopo. Le invettive contro gli Alti Comandi e l’indignazione per il comportamento dei tedeschi non erano un commento a posteriori. Severo, prima di tutto con se stesso, per non aver capito per tempo cosa avrebbe comportato quella guerra. Il testo vide una profonda rielaborazione e nel 1962 uscì per Einaudi con il titolo “La guerra dei poveri”, includendo anche l’esperienza partigiana. Quella con Einaudi è la storia di una lunga fedeltà, perché la Casa editrice di Torino pubblicò tutti i suoi successivi volumi. Il ricordo dolente dei morti, dei dispersi (la provincia di Cuneo ne registrò ben 6.500), dei feriti intrasportabili era un assillo. Revelli, usando i fine settimana, iniziò a girare per i casolari di quelle montagne. Detestava la memorialistica che scade nella retorica; ed era stanco della storia scritta nei memoriali di certi generali, «aridi di umanità e fertili di autoassoluzioni e denunce postume» (p. 79). Soprattutto, a quel modo di fare storia mancava il punto di vista del soldato comune, del contadino e del manovale. Non era facile rompere il muro di diffidenza dei reduci; ma Revelli conosceva il dialetto, aveva anche lui “fatto” la Russia e, soprattutto, sapeva ascoltare con pazienza e umiltà. Non era uno storico di professione, ma «il suo metodo di ricerca, basato sullo studio e sul confronto delle fonti originali, sulle testimonianza di chi c’era, su una serrata analisi dei fatti e delle cause, su giudizi etici sempre legati agli avvenimenti reali, ha superato ogni esame critico. I suoi libri sono inattaccabili sul piano della verità e della precisione» (pp. 85-86). Nacque così “La strada del Davai” (1966), che raccoglie le esperienze di prigionia in Unione Sovietica. E, nel 1971, "L’ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella Seconda guerra mondiale” (Einaudi 1971). Delle oltre 10.000 lettere dal fronte orientale (in parte avventurosamente recuperate, come è molto ben raccontato alle pp. 88-89 del libro che sto presentando) fu costretto a pubblicare solo un’accurata selezione. La guerra, il dovere di raccontare, era stata la sua ossessione. Ora ne era un po’ stanco. «Giravo a cercare la guerra, a cercare il passato, e avvertivo che la guerra dei poveri non finisce mai». Così scrisse nell’introduzione a “Il mondo dei vinti” (Einaudi 1977). In tanti viaggi aveva finito per amare molto la montagna cuneese e i suoi abitanti, poveri ma dignitosi. Davanti allo spettacolo delle conseguenze dell’inurbamento, assisteva al progressivo e quasi inesorabile spopolamento di quelle montagne. Era ben conscio di quanto fosse difficile la vita in quei paesini aggrappati alla montagna, eppure sentiva che un mondo carico di esperienza e di valori si stava perdendo. Furono lunghi lo studio e la ricerca sul mondo contadino di quelle valli; continuò anche dopo la pubblicazione del libro, dando vita a “L’anello forte” (1985), in cui a parlare sono le donne del popolo cuneese. Entrambi i libri suscitarono una vasta eco. Il momento forse più simbolico fu il 22 ottobre 1977, in cui ad Aosta si riunirono a parlare de “Il mondo dei vinti”, oltre a lui, Primo Levi e Mario Rigoni Stern. C’era profonda stima e amicizia reciproca tra i tre scrittori, che una volta Levi definì un «trifoglio». Non è dunque un caso se, nel 1999, l’Università di Torino gli concesse la laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione. La motivazione sottolinea: «per l’attività di narratore e di saggista, ma soprattutto per le sue capacità pedagogiche, che gli permisero di far conoscere la storia della guerra e il dopoguerra nel sud del Piemonte». Questa biografia di Giuseppe Mendicino è quindi di notevole interesse, ben oltre la memorialistica di guerra. Mendicino, qualche anno fa, pubblicò un’approfondita biografia di Mario Rigoni Stern con un titolo simile a questo. Era frutto di molti anni di ricerche e soprattutto di colloqui e passeggiate con lo scrittore. Proprio attraverso Rigoni Stern è giunto a interessarsi di Revelli. La differenza è che, in questo caso, non c’è stata frequentazione personale (Revelli è morto il 5 febbraio del 2004). Ma i libri che ci ha lasciato molto dicono della sua anima. Marco Dalla Torre Giuseppe Mendicino, NUTO REVELLI. VITA GUERRE LIBRI, collana “Paradigma”, Priuli & Verlucca, Scarmagno (TO) 2019, pp. 128, € 14,00
 
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