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Azad Vartanian
I fiori santi dell`Ararat
Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915 ebbe inizio il primo, spaventoso e pianificato genocidio del ventesimo secolo. Si calcola che più di un milione e duecentomila armeni vennero massacrati sommariamente o nelle “marce della morte” verso l’interno dell’Anatolia. Ma il destino singolare di questa terrificante epopea è l’oblio: tuttora caparbiamente negata nella moderna Turchia, altrove affida la propria memoria a una bibliografia immensamente più esigua di quella degli altri olocausti del secolo appena concluso. In Italia la conoscenza è stata veicolata soprattutto attraverso romanzi: quello di Franz Werfel (I quaranta giorni del Mussa Dagh, 1933) soprattutto; e, più recentemente, da quelli di Antonia Arslan (il primo in particolare: La masseria delle allodole del 2007, poi trasposto in film dai fratelli Taviani). Ora è in libreria un nuovo romanzo – I fiori santi dell’Ararat – che illumina un aspetto del dramma: l’eccidio e la deportazione degli armeni che vivevano alle falde della ‘loro’ montagna, l’Ararat (5.167 m). Il racconto si basa soprattutto sulle memorie di George Hagopian, che poi riuscì a fuggire negli Stati Uniti e di cui l’autore del libro ha recuperato e tradotto la registrazione dei ricordi. Racconti francamente sconvolgenti, che l’autore sa collocare con precisione, grazie a una lunga e approfondita conoscenza dei luoghi. Azad Vartanian è lo pseudonimo usato da Tito De Luca, esploratore, archeologo e alpinista bellunese, che per l’editrice Nuovi Sentieri ha già pubblicato diversi titoli sul tema: Armenia misteriosa. Massis, la madre degli armeni (2009) e Il soave suono del Duduk. Racconti di curdi delle montagne (2011). In effetti da più di vent’anni De Luca/Vartanian è impegnato in continue campagne di ricerca sull’Ararat, di cui è diventato un esperto conoscitore. Il motivo, la grande passione, è la ricerca dell’arca di Noè, che secondo il racconto biblico le acque rifluenti dopo il diluvio adagiarono sul grande monte anatolico: «Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Araràt. Le acque andarono via via diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le cime dei monti» (Gn 8, 4-5). La seconda parte del libro, in effetti, con un balzo temporale, racconta le campagne esplorative dell’ultimo ventennio alla ricerca dell’Arca. Il testo, in quanto romanzo, è evasivo sui cognomi e le date, ma è facile ravvisare, almeno, le figure del ricercatore Angelo Palego e della guida alpina Claudio Schranz. La cerniera – invero un po’ forzata e narrativamente non del tutto convincente – tra la prima e la seconda parte sta proprio nei racconti ad Angelo di George Hagopian, che in gioventù aveva effettuato, a sua detta, alcuni pellegrinaggi all’Arca. Merito, dunque, alla casa editrice di Bepi Pellegrinon per tener desta l’attenzione su una vicenda – quella del genocidio degli armeni – che non si può dimenticare senza perdere una parte significativa delle nostre radici. (Recensione a cura di Marco Dalla Torre) I fiori santi dell’Ararat, di Azad Vartanian prefazione di Antonia Arslan, collana Voci dal Nord Est, Nuovi Sentieri, pag 176, euro 15.