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Severino Casara
Sulle Dolomiti del Cadore
Ritorna in libreria Severino Casara (1903-1978), un autore sui cui volumi si è formata una generazione di alpinisti. Basti pensare ad Arrampicate libere sulle Dolomiti (1944) e Al sole delle Dolomiti (1947) e scorrere la premessa del curatore che dà un elenco dettagliato della produzione letteraria e cinematografica dell’autore. Il volume nasce da un dattiloscritto di 277 cartelle ritrovato da Zandonella nell’archivio di Casara e non dispiacerà che venga alla fine pubblicato, soprattutto da parte dei tanti romantici che hanno sempre voglia di guardare al passato. Si uniscono alpinisti appassionati che si vedranno trasportati in regioni dolomitiche rimaste ancora oggi appartate, scoprendone il cuore segreto e l’attrazione accessibile, forse, soltanto agli iniziati. Il volume conclude infatti il disegno complessivo a cui rispondeva l’attività del vicentino, grande collaboratore di Antonio Berti nella stesura della guida delle Dolomiti Orientali e da lui sollecitato a questa o quella esplorazione. Il racconto ha l’andamento di un diario nobilitato dalla vastità dei paesaggi, dalle montagne, scolpite in modo statuario, dai tanti personaggi eccellenti per stile e sensibilità, dalla profondità ed essenzialità del pensiero dei protagonisti. Tra i primi è da citare il prof. Berti che ci viene presentato quando diciassettenne nel 1889 prende la decisione di andare in roccia e salire il Cristallo. Ma poi lo incontriamo, di pagina in pagina, cordiale e paterno, seduto sulla cima del Campanile Visdende, resoci familiare da quel mezzo toscano che accende mentre i compagni erigono l’ometto di sassi. È uno dei tanti tocchi descrittivi con cui Casara ci presenta Berti e che riprende più volte: alla forcella Naje quando il “professore accende il mezzo toscano”, in quel pomeriggio in cui “profuma la sosta serena” sulla Croda di Tacco in Popera. Tolto dal taschino il sigaro ricomparirà alla casera Aiarnola dove Berti “masticando il mezzo toscano sorride con gli occhi lucidi” e ancora sulla Punta Avoltri quando “accende il suo mezzo toscano e se lo gode a seguire la gara” dei compagni che fanno rotolare pietre sulla lunga e levigata lastronata. Gesti misurati e di stile che evidenziano la sua cordiale e distinta personalità. Sono innumerevoli gli appunti rivelatori di alpinisti storici quali i valorosi pionieri dell’epoca d’oro: Luisa e Paolo Fanton, Gino Priarolo, Cesare Capuis, Gino Carugati che in viaggio di nozze con la moglie Maria Guzzi aprì con Berti la famosa via sulla Est del Baffelan. Una presenza costante è il veneziano Marcello Canal, agile, di bassa statura, arguto, dal divertente vernacolo (lo conobbi quando in tarda età ancora piangeva la morte del figlio Alvise sui Cadini e con uno Zigolo Guzzi ripercorremmo alcuni luoghi della sua memoria. Era il 1961). Una citazione merita anche Livio Barnabò, erede di una delle più belle e patriarcali famiglie cadorine, dal fisico infelice, che scoprì l’ombra di Berto Fanton sulla Nord-Ovest del Crissin e motivò Casara a un’ennesima prima salita per andare a sfiorarla. Non manca un capitolo sul Campanile di Val Montanaia e il racconto della salita contrastata degli Strapiombi Nord. Ormai su questo episodio si è detto tutto ma è interessante leggere questa versione autentica, di pugno del protagonista e rendersi conto di quale accanimento e persistente denigrazione vennero usati dalla consorteria degli alpinisti, tale da oscurare la grande attività realizzata da Casara e gli alti meriti che aveva. Personalmente ritengo che non si tenne conto delle testimonianze positive che pure non mancarono, quali ad esempio quella di Mazzorana e il ritiro di Cassin dalla giuria popolare che venne costituita. Sempre luminosa inoltre la presenza di Emilio Comici di cui l’autore fu grande amico. Diffusa in ogni pagina la concezione alpinistica, idealmente espressa, di un alpinismo in cui “la tecnica è solo elemento per l’elevazione spirituale” mentre continua “ad ascendere sui monti una fortissima schiera fedele agli spiriti più illuminati della storia alpinistica”. Nasce così la pubblicazione Le Alpi Venete che raccoglie intorno a sé “come una bandiera, l’unità del pensiero e dell’azione degli alpinisti dolomitici”. La dote fotografica del volume è d’epoca e quindi preziosa. Attraverso d`essi si scruterà nel cuore di quegli avventurosi che si avvicinavano ai monti su un auto Lancia scoperta, in bicicletta o su un carro. Lo stile letterario è quello fluente e ricco di Casara. Inventa anche qualche aggettivazione come “la luce taborica” che illumina Luisa Fanton, alta, sublime espressione dell’etica dell’alpinismo. Si potrà definire lo stile di Casara come classico e tradizionalista, ma non si potrà negare che tra queste coordinate vi è una mobilità, una tensione interna, una passione, una logica filosofica che resta modernissima e proponibile, perché espressione di una tradizione impregnata di una cultura umanistica che ha dato anima e storia al nostro tempo. Complimenti al curatore per le precise puntualizzazioni, alla Nuova Sentieri per i meriti di una collana prestigiosa e alle grafiche Antiga per l’accuratezza e l’eleganza del volume. (Recensione a cura di Dante Colli) Severino Casara, Sulle Dolomiti del Cadore,a cura di Italo Zandonella Callegher, Nuovi Sentieri 2013, pag. 224, 97 ill. b/n, cartonato.